Continua la battaglia intrapresa dai professionisti dell’ADI (Assistenza domiciliare integrata) per far valere i loro diritti di lavoratori e quelli essenziali dei pazienti più bisognosi.
Sia quando l’appalto era in mano a Medicasa, che dal 1 novembre, quando il servizio di assistenza medico-sanitaria a domicilio è passato al ribasso al Consorzio Sisifo, medici, psicologici, fisioterapisti, logopedisti e infermieri dell’ADI hanno lamentato condizioni lavorative non adeguate.
A partire dalla retribuzione, quantificata in 13,50 euro lorde a prestazione (tra i 6 e gli 8 euro l’ora al netto delle tasse).
I lavoratori auspicavano un miglioramento del salario loro riservato con il passaggio al nuovo ente, ma ciò non si è al momento verificato.
Ciò ha portato, quindi, centinaia di professionisti ADI a non siglare il nuovo contratto con il Consorzio Sisifo, dopo la scadenza del rapporto lavorativo con MediCasa avvenuta il 31/10/2021.
La conseguenza più grave di tutta questa vicenda è che circa 3000 pazienti sui 4000 totali, bisognosi di ricevere cure nella propria abitazione e sparsi su Catania e provincia, risultano da 20 giorni privi di qualsiasi tipo di assistenza.
Una situazione inacettabile, che va a ledere soprattutto i diritti umani dei soggetti più fragili e che deve essere risolta al più presto.
“MALCONTENTO COMUNE, PRETENDIAMO PAGA DIGNITOSA”
“C’è un malcontento comune e non del singolo – dichiara Mario Diolosà, fisioterapista – Abbiamo deciso di dire no a questa forma di sfruttamento. Essendo la paga un male comune, dopo esserci confrontati tra tutti noi colleghi, abbiamo preso la decisione di non lavorare più: noi pretendiamo un compenso che sia dignitoso, noi che facciamo questo tipo di lavoro e abbiamo in mano la vita delle persone“.
“Sul territorio, ci sono 3800 persone cha hanno bisogno di assistenza domiciliare su tutta la provincia di Catania. Con la precedente ditta, noi eravamo tra i 90 e i 100 fisioterapisti a coprire tutto il territorio. Adesso, Sisifo, ha trovato attualmente circa 15 fisioterapisti, da quanto so io. Si parla solo del 10/15% di pazienti coperti: più di 1000/1500 pazienti sono dunque rimasti senza assistenza. Noi come personale in totale eravamo 240 ed eravamo già in difficoltà: è un lavoro molto difficile che molti rifiutano di fare. Loro (Sisifo) hanno in questo momento 120 operatori, di cui buona parte non sta lavorando perchè ha deciso di aderire a questa forma di protesta. Si giustificano dicendo di stare mandando un operatore per ogni paziente, ma rabbrividisco di fronte a questo: non se n’è può mandare soltanto uno quando ci sarebbe bisogno di un team più corposo per i bisogni di ciascun individuo“.
“LA SISIFO MINACCIA DI PRECETTARCI: COM’E’ POSSIBILE SE NON ABBIAMO UN CONTRATTO”
“La Sisifo ha chiesto al prefetto la precettazione, ma noi non abbiamo firmato alcun contratto: non possiamo essere precettati, non è uno sciopero semplicemente perchè non c’è un contratto – prosegue – Non ci abbassiamo a lavorare a queste cifre. In tutto questo, chi ci va di mezzo sono i pazienti: l’ASP sta continuando a non muovere un dito, dicendo sempre di starsi allineando all’azienda. L’ASP non ha contattato noi professionisti, sono in contatto solo con l’ente. Dai pazienti che sono in contatto con l’ASP ho ricevuto notizie che al momento non stanno attivando i PAI, cioè i trattamenti terapeutici di fisioterapia“.
“Noi fisioterapisti, a causa del numero, stiamo creando il maggior disservizio, mentre gli infermieri non mancano. L’ASP sta negando un diritto essenziale ai pazienti, non fornendogli il giusto supporto fisioterapico, ma soltanto quello infermieristico: questo è gravissimo“.
“CHI CI VA DI MEZZO SONO PAZIENTI E LAVORATORI: E’ ORA DI DIRE BASTA”
“Stamattina la figlia di una mia paziente, che è avvocato, mi ha avvisato che avrebbe mandato una diffida all’ufficio Urp perchè la mamma è piena di dolori e lei è costretta a prenderla e portarla fuori di casa direttamente in una struttura perchè non vengono garantiti i serivizi domiciliari. Ribadisco, dunque, che chi ci va di mezzo sono le persone e noi lavoratori che siamo fermi da quasi un mese. C’è chi ha spese e famiglie a carico: siamo arrivati al punto di dire basta“.
“Quello che più mi da fastidio – conclude Diolosà – è che si continui a dire che parteggiamo per un ente piuttosto che un altro. Noi l’abbiamo sempre detto: se dovesse tornare Medicasa, troverebbe lo stesso problema che ha trovato Sisifo. E’ una lotta contro questa condizione, non contro una specifica azienda. Con Sisifo abbiamo avuto un incontro qualche settimana fa e ci avevano lasciati dicendoci che avrebbero provato a chiedere più soldi all’ASP per aumentare i nostri stipendi: a distanza di tempo, però, non si sono ancora fatti sentire“.