Inutile girarci intorno. La situazione in casa Sigi, ogni istante che passa, si fa sempre più drammaticamente in salita.
L’unità di intenti, il lavoro collettivo e l’esplosione di gioia all’esterno del Tribunale in quella mattinata del 23 luglio 2020, sono ormai lontanissimi ricordi.
Già, perché a distanza di poco più di un anno, il sodalizio che ha salvato la matricola 11700 e la sua storia dal fallimento, si sta progressivamente sgretolando.
Diatribe, malintesi, talvolta scontri tra i soci si fanno sempre più frequenti, quasi all’ordine del giorno. Gli interessi personali, nonché economici, di alcuni sembrerebbero star prendendo il sopravvento sul fine che aveva dato inizio a tutto: il rilancio del Catania.
Il progetto e la rinascita del club rossazzurro pare non stiano più rappresentando la priorità, nonostante l’impegno quotidiano di chi sta provando in ogni modo a riallacciare le fila e ricompattare il fronte.
D’altronde, mettere d’accordo 23 teste contemporaneamente, fin dal principio, è apparsa impresa ardua: sarebbe proprio questa condizione di “comproprietà” del Catania, seppur con quote e azioni sociali differenti, a fungere tra l’altro da deterrente contro l’arrivo di nuovi e indispensabili investitori.
La situazione è serissima, come mai lo era stata prima. Da fonti vicine alla Sport Investment Group Italia, non trapela più ottimismo riguardo al futuro. Si lavora alacremente per ottemperare alla scadenza del 16 ottobre, ove occorrerà versare poco più di 500 mila euro per il pagamento degli stipendi.
Per il dopo, purtroppo, in mancanza di una ritrovata compattezza o di nuove risorse all’interno di Sigi, non vi sarà più certezza.