Catania, la bella “puttana” violentata ancora una volta

Dico la verità, lunedì quando i primi meme iniziavano a far capolino su Facebook, mi sfregavo le mani al pensiero del prossimo pezzo. Il titolo sarebbe stato “La Venezia del sud” e in testa mi frullavano vivaci i soliti personaggi alle prese col rafting urbano per le vie del centro. Poi, però, è arrivato quel maledetto martedì e ho iniziato a vergognarmi di quel sottile compiacimento provato nel constatare, per l’ennesima volta, quanto avessi ragione nel criticare Catania. Perché è vero che io odio profondamente l’inciviltà e la prepotenza di questa città, ma la amo anche smisuratamente e vederla ancora una volta in ginocchio mi lacera il cuore. Perché Catania è una bella e attempata donna che nei decenni è stata ridotta a puttana dai suoi famelici ruffiani, sempre felici di darla in pasto per pochi spiccioli a bramosi aguzzini. È per questo motivo che per una volta abbandonerò Kevinni e il sarcasmo per scrivere qualcosa di estremamente serio.

È indubbio che le cause remote del disastro che abbiamo vissuto sono da addebitare ai cambiamenti climatici e a quanto tutti abbiamo sputtanato questo pianeta per una folle corsa alla “crescita insostenibile”.  Per regalare a tutti un consumismo becero in una rincorsa insensata al pil piuttosto che al benessere, per garantire la carne a pochi euro in sprezzo delle sofferenze di animali rinchiusi in lager inquinanti più delle ciminiere, per dotare tutti di beni inutili che il giorno dopo diventano fuori moda, per motorizzare qualsiasi minimo spostamento, per creare spazio urbano a scapito di boschi e foreste. E’ vero, le cause e le colpe remote sono dell’umanità intera, di tutti e quindi, nei nostri miseri ragionamenti di comodo, di nessuno.

Eppure esistono anche delle cause  ben più direttamente imputabili a questa martoriata terra, oltraggiata da una cementificazione oscena e turpe, che dagli anni settanta ha inondato di asfalto e calcestruzzo i nostri territori, fornendo comodi letti a improvvisati fiumi di acqua piovana. Nei decenni sono stati sottratti spazi al verde – sulla scorta di un piano regolatore che risale addirittura al 1969 – e  la città, la sua cintura urbana e i paesi limitrofi sono cresciuti ipertroficamente e senza criterio, allo scopo di favorire costruttori amici degli amici che nel loro cemento ingoiavano con la natura anche il nostro futuro.

Il tutto senza uno straccio di canale di gronda, del quale si parla solo al verificarsi delle tragedie per poi dimenticarsene il giorno dopo. E a braccetto con questo svilimento decennale del territorio è andata poi l’incuria dei singoli e delle istituzioni compiacenti, tutti complici con i propri piccoli e grandi gesti: le cicche per terra, i rifiuti ovunque, l’abusivismo selvaggio, la capitozzatura indiscriminata che indebolisce alberi centenari, l’asfalto scadente che si sgretola, gli incendi e via discorrendo.

Più o meno tutti, già questa estate, vaticinavano di possibili disastri causati dal connubio di piogge e cenere vulcanica, ottenendo come unica risposta post di solerti sindaci fotografati “per caso” mentre supervisionavano inesistenti lavori di manutenzione. E puntualmente il disastro c’è stato, ma questa volta peggiore di ogni più pessimistica previsione, come se il destino volesse accanirsi contro l’indolenza criminale di questa terra o forse, come mi piace pensare, perché la provvidenza la svegliasse, ora che si può reagire grazie ai fondi del PNRR che DEVONO essere utilizzati per un vero piano contro il dissesto idrogeologico…ovviamente sempre che i vampiri non decidano impunemente di violentare ancora una volta questa vecchia e bellissima puttana sotto lo sguardo complice della solita pletora di sciacalli…

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