Per dare le dimissioni a lavoro bisogna seguire un iter specifico: scopriamo insieme come fare in poche mosse e senza sbagliare.
Dare le dimissioni significa rinunciare al proprio posto di lavoro. Le dimissioni, a meno che non vengano date per giusta causa (fattore che va sempre dimostrato), non prevedono che il lavoratore prenda l’indennità di disoccupazione (NASpI). Le dimissioni però prevedono che il lavoratore riceva il TFR maturato. Per presentare le dimissioni dal lavoro, è necessario seguire una procedura telematica stabilita dalla legge, pena la nullità. Questo formalismo è stato introdotto per proteggere i lavoratori dalle cosiddette “dimissioni in bianco”, ovvero un atto di dimissioni fatto firmare al dipendente al momento dell’assunzione, consentendo al datore di lavoro di licenziarlo liberamente in qualsiasi momento. Attualmente, la trasmissione delle dimissioni è certificata tramite una piattaforma dedicata che garantisce la data certa dell’atto.
Come dare le dimissioni a lavoro: la procedura da seguire
Con l’entrata in vigore del Jobs Act (Dlgs 151/2015), le dimissioni vanno presentate obbligatoriamente scritte. Le dimissioni verbalmente espresse non sono valide. Ad esempio, se un dipendente dichiara al proprio capo di “licenziarsi” e poi ritorna al lavoro dopo qualche giorno, la precedente manifestazione di volontà non ha alcun valore (tuttavia, il datore di lavoro può applicare sanzioni disciplinari per l’assenza ingiustificata).
Per dare le dimissioni bisogna quindi utilizzare la modalità telematica. Dunque, ci si deve collegare al sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e seguire l’iter online. Le dimissioni non trasmesse telematicamente sono considerate nulle. Il lavoratore deve possedere SPID o CIE per accedere al portale. Il dipendente non è tenuto a fornire le motivazioni delle dimissioni, a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa, ovvero imputabili a una grave condotta del datore di lavoro (molestie, mobbing, mancato pagamento dello stipendio o dei contributi, trasferimenti illegittimi, ecc.).
In questo caso, bisogna indicare la “giusta causa” sul modulo e poi si può procedere legalmente contro il datore di lavoro, poi si può anche richiedere l’assegno di disoccupazione (NASpI) all’Inps, che altrimenti non sarebbe dovuto in caso di dimissioni volontarie.
Come funziona la data di decorrenza e il termine di preavviso
La data di decorrenza delle dimissioni è quella a partire dalla quale, dopo il periodo di preavviso, il rapporto di lavoro cessa. La data indicata è quindi il giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro. Il lavoratore è comunque tenuto a rispettare il termine di preavviso previsto dal CCNL, a meno che non sussista una giusta causa di dimissioni (nel qual caso sono legittime le dimissioni in tronco). In caso di mancato rispetto del termine di preavviso, le dimissioni, anche se immediatamente efficaci, obbligano il lavoratore al risarcimento dell’eventuale danno, versando l’indennità di mancato preavviso prevista nel CCNL.
Il lavoratore ha la possibilità di revocare le dimissioni entro sette giorni dalla trasmissione del modulo (sempre dal sito web del ministero). Durante questo breve periodo, il rapporto di lavoro è in vigore, cessa solo dopo il termine di sette giorni, a meno che non avvenga appunto la revoca.