Il cenone di Natale…AcCatania

È vero, per il resto del mondo è la trasposizione sincretica della festa solstiziale del sole invitto, la vittoria della luce che torna a rinascere dalle tenebre, il lieto annuncio che la speranza prevarrà sempre sulla disperazione, ma diciamocelo: #accatania il Natale è soprattutto il cenone della vigilia. Putiti fari tutti puppeti ca vuliti, ma in questa città nessuno, dagli astronauti ai posteggiatori abusivi, può sfuggire al rito pagano della notte del ventiquattro!

Nella casa da Za Maria, tempio nel quale si terrà la celebrazione, i preparativi fervono da almeno una decina di giorni. La parola d’ordine è non fare come i natali passati, ché è un peccato buttare tutto quel cibo e poi non è giusto che ci si stanchi troppo «Puttamu na cosa all’unu accussì nuddu s’affatica». Il problema è che, se siamo quarantasei, “na cosa all’unu” equivale al rancio dell’Armata Rossa…

Nonostante ci si prepari da giorni, su tutti a menzu a na strata quando – sebbene l’appuntamento sia per l’ora di cena – alle 19:01 citofona puntualmente u Zu Santu. Il tempio si trasforma allora in un formicaio sotto attacco: i suoi abitanti accumincianu a furriare ntappannusi addosso ‘nzo chi è gghiè pi darisi na parvenza di umanità, mentre du poveru crasto di Tanuzzu è il prescelto per l’accoglienza, sacrificio indispensabile per permettere agli altri di ultimare i preparativi. Poi, pian piano, arrivano tutti gli invitati – a parte Placiteddu ca non si sa picchì avi sempre quaccosa chi fari all’ultimo minuto – mentre nell’attesa ci si cala intere coltivazioni di frutta secca, non facendo caso all’immancabile litania di sottofondo do Zu Francu ca, camurriusu com’è, non smette di ripetere «Non vi manciati sti cosi, ca appoi vi passa a fami!».

Quando non manca più nessuno, è finalmente il momento di sedersi attorno all’ara sacrificale: dopo i complimenti d’abitudine, i capotavola su do Zu Melu e di Jaffiucciu, ca su trent’anni ca si ci assettunu. A Za Delia a quel punto non può fare a meno di esclamare «Piii Maria, ma quanti cosi facisti!», quello è il segnale…si può scatenare l’inferno! Arrivanu a tumpulata almeno quattro primi e otto secondi, ca ognunu c’avi i so gusti e ci ficiunu na cosa diversa: «Sta parte di teglia», un metro quadro, «è pi Kevinni ca non mangia fummaggiu».

Da bere c’è l’immancabile vinello do Zu Santu, che l’aceto Polti a confronto è Passito di Pantelleria, ma a iddru ci piaci e su potta unni va va mpunenniccillu all’autri. La tregua sembra essere prossima quando una voce lontana e fioca domanda «Prima la frutta o il dolce?», ma in agguato c’è l’ultimo dei giaponesi: u Zu Ninu!  «Aspittati, ancora c’è a sasizza! E’ caura caura ndo funnu!». Perché a Natale possono mancare pure l’albero e il presepe, ma a sasizza no, a qualunque costo quella c’ha ghiessiri. Tra gli sguardi terrorizzati gira come un ninja a Za Delia con la teglia in mano e, seppure tutti supplichino pietà, almeno tre caddozzi a testa ci cafudda, senza contare ovviamente le patate ché quelle sono solo contorno.

Esausti e dopo aver superato anche l’ultima prova, quella delle ‘nguatere di dolci, davanti a un limoncello fatto in casa – che è perlopiù alcol etilico al 100% con dentro una misera scorzetta di limone – u Zu Melu pontifica «A virità è che non semu chiù abituati a mangiari, na vota era divessu. Oggi chi ni mangiammu? Quattru cosi e semu già chini». Nello sgomento generale le teste annuiscono in segno di rispetto, ché u Zu Melu pi sti cosi è u nummuru unu.

Finita l’agape rituale arriva il momento ludico, le tovaglie natalizie lasciano il posto al panno verde e i convenuti tirano fuori il nichelio, da un anno conservato per quell’occasione nei posti più improbabili: dai contenitori di latta dell’OrzOro ai sacchetti di velluto del Chivas da collezione. Ok, ma a quale gioco? I più piccoli vorrebbero il Cucù – il gioco più bestia che mente umana abbia mai partorito – mentre a Za Pina, azzardosa com’è, si vulissi fari na bella Zicchinetta.

Si opta per un più morigerato Baccarat, che fa puntualmente emergere l’incompetenza matematica da Za Lilluzza, ca si fa i cunti che ita facendosi costantemente sgamare, e quelle logico/legali da Za Maria, che va in tilt quando le spiegano per l’ennesima volta il funzionamento delle puntate a cavallo. Ma è nei momenti di apparente calma che i giapponesi sono soliti sferrare l’attacco decisivo e così, a metà banco, come un kamikaze a Pearl Harbor, u Zu Ninu si susi e sgancia la bomba «Ma ‘n panettone no rapemu?» .

A quel punto non può che fargli eco u Zu Melu «Cetto, ma nu manciamu a siccu? Non stuppamu?». Il break dolciario spazientisce Placiteddu, che come al solito è l’unico che vince, ma le tradizioni sono tradizioni e si devono rispettare…

A tarda notte e con le panze tese come la gran cassa di Ringo Starr, i convenuti cominciano a sgattaiolare via scappando dai padroni di casa che tentano di accollargli le teglie di resti sacrificali, ma non si può accettarli, ché l’indomani è Natale e a Za Delia ha preparato quattro cose per il pranzo…e così si ricomincia fino all’Epifania…

Così ricordo i miei natali più belli, in questa città che ci fa ridere e piangere, ma che ci annaca da sempre come figli. Colgo questa occasione per auguravi di passare i giorni di festa con chi sa scaldarvi davvero il cuore. Io, dal canto mio,  proverò a farvi sorridere anche l’anno prossimo raccontando ancora la follia e la meraviglia della nostra Catania…auguri di catanisazzi miei!

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