Quella di #accatania è stata una splendida avventura per la quale non posso che ringraziare il Direttore di Catania Live24, Alessandro Fragalà, e tutti i ragazzi della redazione. Tutte le cose belle, però, prima o poi finiscono – o, come penso io, semplicemente si spostano nello spazio-tempo – e per me è arrivato il momento di fermarmi un attimo a prendere fiato.
Spero, in qualche modo, di aver strappato un sorriso a chi in questi nove mesi ha avuto la pazienza di leggermi, ma, soprattutto, spero in qualche modo di avervi fatto riflettere un po’.
Con l’ironia ho tentato di raccontare la follia di questa città, alla quale nonostante tutto sono visceralmente legato. Ho tentato di denunciarne le storture cercando di non farmi influenzare da convinzioni personali, amicizie ventennali e opinioni politiche. Ho provato a spiegare quello che per me non va, senza paura né peli sulla lingua, ma senza mai pretendere di avere la verità in tasca.
Catania è una città meravigliosa, violentata da sanguisughe che la deturpano e rendono i suoi abitanti schiavi del compromesso. Quello che mi auguro e vi auguro è che vi incazziate davvero, che torniate ad indignarvi senza cedere allo scoramento e che cominciate finalmente a non rassegnarvi a una città di serie B. Incazzatevi davanti a tutti i Kevinni che tengono in ostaggio il vostro vivere civile, davanti alle buche, ai posteggiatori abusivi, alla spazzatura, alle auto sui marciapiedi, alle alluvioni, alle scuole fatiscenti, a chi non fa il proprio dovere, a chi vi dice di lasciar stare, agli amici degli amici e a chi vi nega i diritti spacciandoli per favori. Incazzatevi con chi non si incazza, perché se questa terra è così malandata è anche colpa nostra: è colpa di chi non prende posizione, di chi si gira dall’altra parte, di chi non vede, non sente e non parla, di chi fa spallucce, di chi si fa i cazzi propri ché campa cent’anni. Questa terra è così martoriata perché, in fondo, a noi è andato bene così, perché “calati juncu ca passa la china”, perché “vabbè l’importante è che non succeda a me”.
Tra un po’ si tornerà a votare e torneranno le promesse che ci rendono ostaggi di chi le fa, torneranno gli amici che telefonano in ricordo dei vecchi tempi, torneranno i ponti sullo Stretto, le metropolitane, le città pulite e l’alta velocità, torneranno le pacche sulle spalle, gli occhiolini e le speranze sperate e poi tradite…io spero che invece ci tornino in mente i ricordi: quello che non è stato fatto, quello che non è andato bene, quello che ci ha indignato. Io non lo so chi ha ragione, chi ha fatto bene e chi lo farà, ma so per certo che meritiamo molto di più di quello che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni.
Nel mio piccolo, in questi mesi, ho provato a dire ciò non mi stava bene. Non l’ho fatto contro qualcuno ma solo per mia figlia, perché vorrei che nascesse in una città diversa. Una città che si guarda allo specchio e si piace davvero, piuttosto che una puttana che si trucca per essere venduta al primo offerente. L’ho fatto soprattutto perché voglio che un giorno mia figlia non si vergogni di un padre che ha visto e non ha detto, per spiegarle che le rivoluzioni sono innanzitutto un evento culturale, una presa di coscienza e un cambio di mentalità, perché in fondo Don Chisciotte non era un folle, ma solo un visionario.
Io ci ho provato a cambiare le cose e ci proverò sempre con la parola, che è l’unica arma che ho e
che conosco. Sono certo che prima o poi ci riusciremo tutti insieme, ma nel frattempo vi scongiuro…incazzatevi di brutto!