Just In Time made in Catania

Forse non tutti sanno che l’impetuosa crescita economica giapponese del secondo dopoguerra si è fondata sul concetto rivoluzionario di “Just In Time” – adottato originariamente dalla Toyota Motor Corporation – che è stato alla base del vincente e stracelebrato “Total Quality Management”.

Il Just In Time consiste nella semplice, ma geniale, idea di ridurre al minimo gli sprechi di produzione, eliminando le scorte superflue di materie prime, semilavorati e prodotti finiti. In sostanza si tratta di produrre quanto richiesto dal cliente quando questi lo desidera, evitando sovrapproduzione e giacenze di magazzino e riducendo conseguentemente in maniera drastica i costi della filiera produttiva. Le economie occidentali, tardando notevolmente ad adeguarsi alla nuova frontiera di efficienza nipponica, nel tempo hanno quindi perso competitività nei confronti del paese del sol levante che frattanto si arricchiva e prosperava a dismisura.

A maggior ragione #accatania, dove siamo accumulatori seriali e dove il benessere e la ricchezza coincidono con l’abbondanza della “roba” di verghiana memoria, abbiamo fatto molta fatica ad adeguarci, perché noi siamo se abbiamo e soprattutto se possiamo dimostrare di avere, anche quello che non ci serve, anche quello che non è nostro. Per fortuna, però, pare che negli ultimi tempi anche alle falde dell’Etna l’economia si stia adeguando alla cosiddetta catena produttiva snella…ne è la prova l’industria – intesa come settore economico – più florida nella nostra città,  riconvertitasi recentemente in maniera brillante a questa nuova filosofia: chiddi ca arrobbunu i machini.

Ecco quindi che i geniali imprenditori del settore, prima dediti al tradizionale stoccaggio e smontaggio di auto in garage di quartiere nella prospettiva di rivenderne i pezzi, hanno iniziato ad adottare il Just In Time per evitare di sopportare gli esorbitanti costi logistici e di smaltimento dei rifiuti industriali: perché rubare un’intera auto se si possono rubare direttamente i singoli pezzi? 

Così i laboriosi “car business men” catanioti hanno dapprima iniziato arrubbannnu marmitte catalitiche – fenomeno per la verità non solo etneo – e poi, vedendo che la cosa era facile facile, accumincianu a futtirisi di tutto: fanali, specchietti, sedili, tettucci e macari sputtelli:

«Mbare Kevinni m’aggiuvunu tri sputelli da Puntu!»

«Non ci su pobblemi mbaruzzu, domani ti pottu ju. Di chi culuri i voi?»

Purtroppo ne sono rimasti vittime anche ignari turisti, con l’ovvia pubblicità che ne è conseguita, ovviamente anche  in pieno centro, ovviamente anche in pieno giorno, ovviamente senza che il fenomeno sia stato minimamente arginato dalle autorità, ché #accatania u sapemu nessuno vede e sente mai niente…

Cazzarola, non si dica mai più che non siamo aperti alle innovazioni e alla modernità! Certo, ci arriviamo dopo, ma poi diventiamo dei veri fenomeni…da baraccone…

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