La transumanza

I catanesi son gente di mare e al mare non rinuncerebbero per niente al mondo: da marzo a settembre, appena ne hanno la possibilità, si catapultano sulle spiagge baciate dal sole ansiosi di postare improbabili foto in costume e filosofiche descrizioni dell’acqua che “è bellissima”, perché anche se ci sono dieci gradi sotto zero l’acqua #accatania è sempre bellissima. Inoltre i catanesi non sono antropologicamente stanziali, per cui negli anni si sono impavidamente avventurati lontano dalla playa, loro territorio ancestrale, colonizzando dapprima la settentrionale Taormina e poi, a sud, i territori siracusani e persino le belle e remote dune ragusane.

Eppure ad ottobre il feeling con il mare si interrompe d’improvviso, cedendo il passo all’annuale irrefrenabile voglia di montagna. In realtà il novanta per cento dei catanesi non conosce e non vuole conoscere i territori lunari della Valle del Bove, i panorami mozzafiato di Monte Gemmellaro o il vermiglio autunnale di Monte Spagnolo, e purtuttavia non riesce fare a meno di invadere il versante sud-est dell’Etna…pi ghiri a fari castagne. Ecco allora che nelle prime domeniche d’autunno si assiste alla tragica transumanza dei figli del Liotro che, come gli elefanti di Annibale, invadono il vulcani su macchine stipate all’inverosimile e piene di qualsiasi cosa la mente umana possa minimamente ritenere utile. Gli splendidi rifugi e sentieri di montagna iniziano così a riempirsi di orde barbariche che prima scrutano il territorio e poi, con la rapidità di Rommel,  decidono dove iniziare un bivacco che presto si trasforma in un suk.

La comitiva tipo è composta da almeno venti persone accomodate intorno ad una decina di tavolini messi in fila a usu pista di Sigonella. A capotavola c’è sempre la nanna, colpita mediamente ogni tre minuti da una pallonata che il mefistofelico Kevinni le tira contro sotto lo sguardo soddisfatto di papà Turi che ride facendo vibrare la maglietta del Napoli rigorosamente portata sopra l’ombelico. Poi ci sono gli addetti all’arrustuta: normalmente due giovani e magnifici esemplari di maschio siculo, Maicoll e Jonata, che prima si impegnano a fare sbampare u focu sciusciannu cu du piatti di plastica e poi scaraventano sulla griglia tonnellate di carne di ogni genere, partendo però rigorosamente dalla sasizza ca ci sta chiù assai e che i due brandiscono sapientemente come fosse il lazo di Wonder Woman. Le donne sono invece le incaricate alla cunzata della tavola, nella quale non deve assolutamente mancare niente: dal vino alla spuma, dalla caponata alla guantiera di dolci, senza tralasciare lo zuzzo che co limuni sapi chiù bello. Un po’ in disparte c’è sempre Sciantall che si fa decine di selfie con la funcia ad ano di gallina non vedendo l’ora di postarle sotto la scritta “relax lontano dal caos”. A fare da colonna sonora ci sono due casse wifi che vomitano trap neomelodico a palla…che se esistesse davvero una giustizia divina farebbe diluviare pietre come a Pompei.  Dopo il pranzo, che dura in media tre ore, ci si divide in tre gruppi: chi ha lavorato si fa una panzata di sonno sutta l’alberi, la nanna e le zie iniziano un’avvincente partita a scala quaranta e i più attivi vanno a cercare castagne, che ovviamente poi fotograferanno e posteranno sotto la scritta “sapori d’autunno”.

La giornata finisce solitamente intorno alle sei, quando gli uomini fremono per andare a vedere le partite della sera e i picciriddi su ca funcia dopu ca si sciarrianu picchì u chiu tostu assicutau l’autri dannuci coppa di lignu che ruppa. Solo a quell’ora i barbari, soddisfatti e satolli, si possono rimettere in macchina lasciando alle loro spalle le tracce del proprio devastante passaggio: cenere e legni bruciati, avanzi di cibo e soprattutto piatti, bottiglie e bicchieri di plastica…che tanto per quest’anno in montagna ci sono stati e prima dell’anno prossimo qualcuno avrà pulito…

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