La storia di Peppino Impastato è una delle più note nella lotta alla mafia siciliana: chi era e cosa aveva fatto
L’arte serve a tramandare storie ed eventi memorabili. Basti pensare agli episodi biblici ripresi dai pittori medievali e rinascimentali. Il cinema viene chiamato la settima arte e ha lo stesso compito: non solo far dilettare chi usufruisce dell’attività ma anche lasciare qualcosa, una riflessione, un punto di vista, una storia. Il regista Marco Tullio Giordana ha il grande merito di aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica la storia di Peppino Impastato, grazie al film del 2000 I cento passi con Luigi Lo Cascio nei panni del protagonista.
Peppino Impastato, quale fu la sua attività di militante
La storia di Peppino è particolare sia nell’ambiente in cui si sviluppa che per i tragici epiloghi. Giuseppe Impastato era nato a Cinisi, in provincia di Palermo, nel 1948. La famiglia del padre Luigi era legata alla mafia e lui stesso fu mandato al confino durante la dittatura fascista. Il nome di spicco più importante era Cesare Manzella, che Peppino chiamava zio, morto durante una guerra di mafia in un attentato nel 1963. Il legame era forte anche con i Badalamenti, famiglia che a seguito di questo evento prese il controllo di Cinisi.
Gaetano Badalamenti, Zu’ Tano (Zio Tano) con il passare degli anni diventò un pezzo sempre più grosso all’interno di cosa nostra. Con gli Inzerillo, i Bontate e i Buscetta, faceva parte della commissione provinciale che reggeva l’organizzazione criminale.
A crescere, però, era anche Peppino. A maturare è soprattutto la coscienza morale, personale e politica. Fu un giovane intelligente e animatore del circolo Musica e cultura, punto di ritrovo di giovani che sognavano un mondo alternativo alla mentalità mafiosa. Si iscrisse al Partito Comunista Italiano e fu uno dei militanti più attivi della locale sezione. Il suo volto fu presente nelle manifestazioni in piazza, come quelle contro la costruzione della nuova pista per l’aeroporto, occasione di guadagno per la mafia, e il suo nome si leggeva in calce agli articoli pubblicati su L’Idea socialista.
Ma ad essere nota fu anche la sua voce sulle frequenze di Radio Out dove denunciava senza mezzi termini il malaffare di Mafiopoli, come aveva ribattezzato Cinici, guidata da Zu’ Tano, senza mancare di prendere in giro pubblicamente il boss. Peppino ebbe scontri continui con il padre, sodale di Badalamenti, e fu cacciato di casa. Il giovane andò avanti per la sua strada, nonostante ritorsioni e minacce. Quando il padre morì in un misterioso incidente stradale, capì che il sui destino era segnato, ma nulla poteva fermare il suo sentimento antimafioso.
Nel 1978, in occasione delle locali elezioni, si candidò nella lista di Democrazia Proletaria, sperando in una sorta di unità della sinistra. Mentre nella tarda mattinata del 9 maggio i notiziari annunciarono il ritrovamento del corpo di Aldo Moro a Roma ucciso dalla Br, nella notte precedente Peppino, su ordine di Badalamenti, fu colpito con un sasso, tramortito e il suo corpo fatto esplodere sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani: una messinscena per far credere che fosse morto mentre preparava un attentato. Grazie all’impegno degli amici, del fratello minore Giovanni e della mamma Felicia Bartolotta (deceduta nel 2004) la magistratura ha appurato la verità dei fatti.
Giuseppe Formisano