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Seguir virtute e canoscenze #accatania

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Fabrizio Ventura

Accatania. La cultura è la base del vivere civile, è la coscienza di sé e del mondo circostante, è l’unica arma con la quale ci si possa difendere dall’arroganza e dai soprusi del potere. Senza cultura il diritto diventa favore, il favore concessione e la concessione dipendenza. Senza cultura si smette infine di essere liberi cittadini e si diventa umili sudditi.  Ecco perché l’ignoranza va combattuta, sconfitta e annientata, perché essa è alla base delle nefandezze e della grettezza del mondo. Odisseo, nella Divina Commedia, esortava i suoi compagni con parole che hanno solcato il tempo e la storia per continuare ancora oggi a sferzarci: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenze”. E per seguire ste caspita di virtute e canoscenze i giovani virgulti etnei compiono ogni giorno delle vere e proprie odissee…in particolare in compagnia delle loro mamme…

#Accatania ogni santa mattina dell’anno scolastico si compie infatti il rito dell’accompagnamento a scuola, sacro e gravoso compito della matriarca catanese. Il postulato è che i picciriddi s’anu a puttari a scola pi fozza ca machina picchì su nichi e non sa ponu fari a peri. Succede così che, a partire da fine settembre, carovane di auto con a bordo mamme ingioiellate e  marmocchi ‘ncupunati da testa e peri – che neanche a Reykjavik – si riversano nelle anguste strade etnee, tutte allo stesso orario, tutte con lo stesso fottutissimo ritardo e tutte con la stessa maledettissima meta. La città, che nelle mattine d’estate sembrava quasi normale, diventa d’emblée un inferno con fiumi di vetture chiassose e puzzolenti che si dirigono verso le ambitissime scuole.

Ovviamente quelle stesse macchine non possono essere parcheggiate distanti dai plessi didattici, picchì è troppu pericoloso. Non importa quindi se si mentunu supra i marciapiedi, nde corsie dell’autobussu, supra i strisci pedonali o in quattordicesima fila, la cosa essenziale è che siano posteggiate davanti alla scuola. In quei luoghi l’assembramento di auto assume dimensioni superiori alla densità di popolazione di Pechino, ma non importa! Ciò che conta è che u picciriddu utilizzi i suoi delicati piedini solo per fare pochissimi passi. Più si arriva vicini e più si scala la gerarchia sociale, godendo tra l’altro di una crescente e smodata ammirazione collettiva.

Normalmente i catanesi estranei a questo mondo evitano  come la peste quelle zone, ma se per avventura ci si imbattono ne vengono travolti come le navi achee tra Scilla e Cariddi, senza possibilità di scampo e soprattutto senza diritto di protesta. Se si prova a fiatare, infatti, la perentoria risposta a mussi strittu è: «Aspettass, non lo vete che sto accompagnato il picciriddo?». In una città normale si potrebbe chiedere giustizia ai solerti vigili piazzati là davanti, ma anche in questo caso non si sfugge alla sentenza: «Dove vuole andare lei?!? No viri ca a signora sta accompagnannu u picciriddu?»

Il problema è che neanche dopo che i bambini sono entrati a scuola si riesce a tornare alla normalità, perché a quel punto si apre il quotidiano dibattito sulle maestre: le mamme si riuniscono a capannello, con le macchine sempre ferme a membro di segugio, e incominciano ad inveire contro la maestra Falsaperla ca l’avi cu Sciantalli picchì a otto anni va a scola co tingimussu russu; contro chidda di religione ca ci dissi a Kevinni ca spacciari droga è un peccato e iddru c’arristau mali picchì ci teneva ad intraprendere la carriera del padre; contro la maestra di matematica ca c’assegna i compiti po lunedì e non si mette nei panni dei genitori ca a duminica volunu iri a Etnapolis. Poi, a un certo punto e come d’incanto, iniziano a sgattaiolare tutte via rinviando sbrigativamente la discussione alla chat uozzapp, ognuna presa dall’ansia per le improrogabili incombenze della mattina: chi salta sul suv da ventotto tonnellate per andare a comprare il detersivo ecologico che vendono a sessanta chilometri da lì, chi corre al campo di paddle ché la partita sta per iniziare, chi deve scappare per incontrare l’amante.

Ma è solo una tregua di pseudo tranquillità perché a scene simili si assiste anche all’uscita, ma in questo caso si aggiungono anche i papà ca si sentunu tutti cacoccioli picchì hanu a machina nova e i nanni ca, soffrennu a resposabilità,  si piazzano davanti ai cancelli due ore e tre quarti prima, cioè praticamente alla ricreazione.

Poi finalmente, ebbri di cultura e carichi di compiti da far fare rigorosamente alle madri, i giovani liotrini rincasano come Ulisse ad Itaca, coccolati e con le scarpette firmate ancora intonse, che quelle si comprano per essere alla moda, mica per camminare…

Fabrizio Ventura

Si laurea in Economia all'Università di Catania grazie a diverse raccomandazioni e al ricorso sistematico al Cepu. Riesce ad entrare in banca copiando spudoratamente ai test di assunzione, ma si accorge presto che quella non può essere la sua strada. Si butta allora a capofitto nello studio, riuscendo a conseguire diverse lauree presso l'Università della Vita: scienze politiche, giurisprudenza, ingegneria civile, lettere e recentemente medicina con specializzazione in virologia. Consapevole che il suo futuro è nel reddito di cittadinanza, decide di togliere tempo al lavoro da bancario per dedicarlo alla scrittura: al suo attivo centinaia di post su Feisbùkk, la rubrica #accatania su Catania Live 24 e un romanzo che prima o poi qualcuno mosso a compassione deciderà di pubblicare.

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