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Servizi segreti in pizzeria #accatania#

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Fabrizio Ventura

Da un po’ di tempo preferisco non uscire il sabato sera, sarà l’età, ma prediligo di gran lunga godere del sole del giorno, magari ritagliato dalle fronde degli alberi sull’Etna o riflesso dal mare blu di Acitrezza, piuttosto che rinchiudermi in piccoli e soffocanti locali notturni. Così, capita spesso che una intera giornata in giro mi consigli di non cucinare per la cena e di usufruire dell’ottimo lavoro della mia pizzeria da asporto preferita. Ieri sera però la mia telefonata è stata piuttosto tardiva e la fame mi ha costretto ad andare a prendere di persona la prelibata leccornia napoletana per evitare che mi fosse consegnata a domicilio a notte fonda.

Ma la puntualità #accatania è un concetto relativo e nonostante mi fossi presentato in pizzeria diligentemente all’orario pattuito, ho appreso con consapevole rassegnazione che c’era ancora da attendere. Poco male, ci sono abituato. Ho quindi usufruito di un po’ di gel disinfettante messo a disposizione dal locale e mi sono messo ad aspettare fuori. Assistendo a quel gesto di pusillanime genuflessione nei confronti dell’imperante dittatura sanitaria, un tizio sulla trentina con capelli a suppera, occhiali tondi e dorati, sneakers bianche e tuta Givova che con difficoltà ne tratteneva il fisico da bradipo, mi si è rivolto con aria di sufficienza: «Mbare, t’arruvinanu!»

Ora, a parte che tra di noi non esisteva alcun vincolo di comparato, mi sono comunque subito chiesto perché avrebbero rovinato solo me e non anche lui. Però era meglio tacere. Così dopo aver fatto un rapido calcolo costi/benefici sull’istaurazione di una discussione con il tipo, ho risposto con un laconico: «Vero, ci hanno rovinati», sperando invano di aver così concluso per sempre la nostra fugace relazione.

Il tizio è rimasto zitto qualche secondo, ma poi ha ripreso con vigore: «A mia nun mi futtenu, ju nun mi fazzu futtiri». Pensando che delle sue pratiche orgiastiche e del suo essere passivo o attivo mi interessasse davvero poco, ho replicato con una faccia che nelle mie intenzioni voleva dire “abbi pietà di me, ti prego basta”, ma che lui evidentemente ha interpretato come un invito a continuare. Ha iniziato così a raccontarmi di lui: «Ju avi deci anni ca vivo nda strata e i genti i canusciu. Canusciu seria kille, dutturi, genti boni e genti malvagi, cattivi. Canusciu macari ‘n saccu i parrini, che nella Chiesa c’è u schifu».

Ho cercato a quel punto una risposta che avesse un senso da dare a un discorso senza senso, ma pur sforzandomi mi è uscito solo un inutile «certo» che, stramaledetta la mia lingua, gli sarà suonato come un incoraggiamento: «Stu virus u ‘nvintanu iddi, Bill Ghey e i so cumpari, chiddi dei farmaci. Pi futtirini». Sto fatto del fottere evidentemente lo prendeva tanto tanto. Io dal canto mio continuavo a guardarlo inebetito sperando che le pizze uscissero dal forno il prima possibile, ma la puntualità #accatania è purtroppo merce assai rara.

Lui ormai non si tratteneva più: «Iddi u sanu comu si cura stu coviddi, infatti a Berlusconi u guarenu senza pobblemi, però non ci cummeni ca u sapemu macari nuatri». A quel punto, così vicino a scoprire le trame sotterranee che governano il mondo, non potendo più tirarmi indietro  mi è uscito di bocca un flebile «perché?». Lui sorrideva beffardo: «Picchì? Picchì accussì ni vinnunu stu siero sperimentale e iddri guadagnanu». La curiosità mi divorava e non ho potuto esimermi dal controbattere: «Bill Gates i soldi già ce li ha, non credo che abbia bisogno del covid». Il tizio si è azzittito per un attimo, ma poi si è improvvisamente illuminato in volto: «Cetto, i soddi si mmuccanu chiddi dei medicinali, a iddu ci interessa cumannari. Cu stu spakki i sieru ni dici chiddu c’amu a fari: un giorno decide ca n’amu a tagghiari i capiddi e tutti ni tagghiamu, n’autru ci speccia ca n’amu a canciari a machina e  na canciamu, ti pari picchì si stanu puttannu a testa cu sti machini elettriche». Spiazzato da quelle rivelazioni scioccanti mi sono permesso però di eccepire: «Ma possibile che nessuno nel mondo lo abbia scoperto?». Il tizio allora si è fatto spavaldo: «Mbare di cunnuti dei politici su tutti d’accordu, iddi s’abbianu l’acqua distillata e a nuatri ni riciunu ca si vaccinanu». A quel punto, rapito e convinto, ho risposto sarcasticamente come quello che la sapeva lunga: «E s’ammuccunu i soddi macari iddi».

Lui trionfante mi ha quindi guardato con aria di evidente superiorità: «Mbare ma tu stu siero tu facisti abbiare nde vini?». Sconfitto e pieno di vergogna ho annuito. Lui, che evidentemente non aspettava altro, ha quindi piazzato il colpo di grazia: «Mbare u sapeva, ti facisti futtiri, ma non t’arrisicare a fariti a terza dose!». Devastato l’ho guardato e con un filo di voce: «No no mbare, mancu a pizza mi pigghiassi chiù…»

Andato via pensieroso mi sono reso conto di non avergli chiesto il nome, credo per il timore che i servizi segreti lo individuassero e lo mettessero a tacere per sempre, ma un’idea ce l’ho e secondo me inizia per K…

Fabrizio Ventura

Si laurea in Economia all'Università di Catania grazie a diverse raccomandazioni e al ricorso sistematico al Cepu. Riesce ad entrare in banca copiando spudoratamente ai test di assunzione, ma si accorge presto che quella non può essere la sua strada. Si butta allora a capofitto nello studio, riuscendo a conseguire diverse lauree presso l'Università della Vita: scienze politiche, giurisprudenza, ingegneria civile, lettere e recentemente medicina con specializzazione in virologia. Consapevole che il suo futuro è nel reddito di cittadinanza, decide di togliere tempo al lavoro da bancario per dedicarlo alla scrittura: al suo attivo centinaia di post su Feisbùkk, la rubrica #accatania su Catania Live 24 e un romanzo che prima o poi qualcuno mosso a compassione deciderà di pubblicare.

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